SANZIONI DISCIPLINARI
Il presente articolo rappresenta un tentativo di divulgazione di portata generale in relazione alle sanzioni disciplinari e ai loro requisiti essenziali di legittimità.
Ai fini della disamina dei caratteri generali delle sanzioni disciplinari nell’ambito del rapporto di lavoro, appare utile ricordare brevemente che le stesse si applicano esclusivamente ai rapporti di lavoro subordinato. Tali tipologie di lavoratori, infatti, obbligandosi contrattualmente a prestare la propria attività alle dipendenze e sotto la direzione del datore di lavoro, costituiscono gli unici destinatari delle sanzioni disciplinari de quo.
Risulta, pertanto, evidente come tali fattispecie siano espressione dell’ontologico potere direttivo e disciplinare posto in capo al datore di lavoro, il quale, nel rispetto dei principi di legittimità e della procedura che descriverò a breve, è libero di comminare la sanzione disciplinare che ritiene più opportuna a fronte della gravità della commissione di un illecito disciplinare da parte di un lavoratore.
COMPORTAMENTI NON CONSENTITI
Poiché il codice civile prevede espressamente come doveri generali per il lavoratore l’obbligo di obbedienza, fedeltà e diligenza senza individuare le singole infrazioni oggetto di sanzioni disciplinari, è necessario fare riferimento al CCNL applicato al rapporto di lavoro. Il CCNL, infatti, o un regolamento aziendale qualora esistente, individua nel concreto tutti quei comportamenti che i lavatori sono tenuti a rispettare senza incorrere in sanzioni disciplinari.
E’ utile specificare che tale elencazione non può mai assurgere al grado di una previsione completa ed esaurientemente tassativa, posto che i potenziali comportamenti suscettibili di sanzioni disciplinari possono essere nella realtà molto numerosi, a prescindere dall’elencazione dettata dal CCNL. Sarà, pertanto, essenziale comprendere quali siano i criteri di valutazione e di legittimità connessi alla validità delle sanzioni disciplinari applicabili dal datore di lavoro.
CODICE DISCIPLINARE
Preliminarmente all’individuazione dei diversi criteri e requisiti di legittimità delle sanzioni disciplinari è di fondamentale importanza riportare il contenuto dell’art. 7 dello Statuto dei lavoratori, Legge 300/1970:
‘Le norme disciplinari relative alle sanzioni, alle infrazioni in relazione alle quali ciascuna di esse può essere applicata ed alle procedure di contestazione delle stesse, devono essere portate a conoscenza dei lavoratori mediante affissione in luogo accessibile a tutti. Esse devono applicare quanto in materia è stabilito da accordi e contratti di lavoro ove esistano.’
Come statuito chiaramente dal codice civile, pertanto, nessuna sanzione disciplinare può essere comminata al lavoratore se le norme disciplinari relative alle stesse non sono affisse in azienda in luogo accessibile a tutti. Ciò significa, quale condizione di ammissibilità per l’applicazione delle sanzioni disciplinari, che il lavoratore deve essere messo obbligatoriamente e preliminarmente a conoscenza di quali siano i comportamenti tassativamente vietati e quali siano le relative conseguenze disciplinari unitamente ai criteri generali per la definizione delle stesse in mancanza di uno specifico comportamento previsto dal codice disciplinare.
In tale codice disciplinare, secondo la Cassazione, possono essere presenti sia le norme disciplinari come tali, sia il contratto che le contiene (Cass. 9 aprile 1990 n. 2940), oppure, ai sensi di altre pronunce, è più opportuna l’affissione della specifica normativa disciplinare, non potendosi considerare forma esaustiva di pubblicazione l’affissione dell’intero CCNL che non rende palesi, leggibili ed immediatamente identificabili gli illeciti sanzionati. (Pret. Milano 22 giugno 1994).
E’ bene specificare anche che l’affissione non può avvenire con mezzi di comunicazione equipollenti (Cass. 24 giugno 1991 n. 7082) quali ad esempio:
-Forme di comunicazione destinate a lavoratori singolarmente considerati
-Avviso in bacheca indicante la possibilità di consultare il CCNL o il codice disciplinare custoditi in un determinato ufficio
-Affissione in un locale accessibile soltanto per specifiche esigenze
MANCANZA DEL CODICE DISCIPLINARE
Qualora il datore di lavoro commini una sanzione disciplinare ad un lavoratore senza che sia stato preliminarmente affisso il codice disciplinare, la sanzione eventualmente irrogata è nulla e non può essere rinnovata poiché la previa conoscenza o valida conoscibilità della normativa disciplinare è condizione essenziale per l’attivazione del procedimento disciplinare (Cass. 15 settembre 1997 n. 9158).
A ciò si affianca, tuttavia, un’importante eccezione qualora il lavoratore commetta un’infrazione disciplinare talmente grave da essere immediatamente percepibile dallo stesso come illecito, perché contraria al minimo etico socialmente apprezzabile, a prescindere pertanto dall’affissione del codice disciplinare in azienda.
Tale previsione, per inciso, appare ostensivamente di buon senso, posto che i comportamenti disciplinarmente più gravi che non siano necessariamente da comunicare preliminarmente al lavoratore mediante l’affissione del codice disciplinare siano già in re ipsa percepibili come tali dalla coscienza collettiva. In considerazione di ciò, tale unica eccezione è applicabile esclusivamente a quelle condotte del lavoratore punibili con il licenziamento, intesa quale sanzione disciplinare espulsiva più grave. In tutti gli altri casi, nell’ambito quindi delle sanzioni disciplinari conservative, è necessaria l’affissione del codice disciplinare.
CONTENUTO DEL CODICE DISCIPLINARE
Risulta importante evidenziare che la determinazione delle infrazioni disciplinari in sede di CCNL o del codice disciplinare deve avvenire in forma sufficientemente chiara e schematica, non anche analitica: i comportamenti non consentiti devono essere individuati unicamente con riguardo alle loro caratteristiche essenziali e non nel dettaglio, anche se devono essere caratterizzati da una specificità tale da escludere che la condotta del lavoratore venga punita sulla base di una scelta arbitraria del datore di lavoro (Cass. 18 febbraio 1991 n. 1695).
La discrezionalità del datore di lavoro, infatti, è limitata all’attuazione e all’adattamento delle sanzioni in relazione alle concrete inadempienze del lavoratore. (Cass. 27 maggio 2004 n. 10201).
In altre parole il CCNL o il codice disciplinare devono contenere gli elementi minimi affinché una particolare condotta sia univocamente identificabile e percepibile dal lavoratore come illecita, attraverso l’attribuzione di caratteristiche specifiche che non possono essere applicate per analogia ad altre fattispecie, ma i cui connotati di gravità possono essere astrattamente rinvenibili anche in altre situazioni.
CONTESTAZIONE D’ADDEBITO E CONDIZIONE DI PROCEDIBILITA’
Ulteriore condizione necessaria al fine di poter comminare le sanzioni disciplinari è il rispetto della procedura prevista dall’art. 7, comma 2, dello Statuto dei Lavoratori che testualmente recita:
‘Il datore di lavoro non può adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore senza avergli preventivamente contestato l’addebito e senza averlo sentito a sua difesa.’
Tale disposizione rappresenta, infatti, un corollario fondamentale a tutela della difesa del lavoratore, quale diritto irriducibile contro l’arbitrario potere del datore di lavoro. Al lavoratore, pertanto, prima di ricevere l’applicazione concreta della sanzione disciplinare, deve pervenire per iscritto la descrizione dell’accadimento, senza alcuna connotazione di sanzionabilità, posto che in tale atto sia necessaria esclusivamente la descrizione fattuale della fattispecie commessa dal lavoratore.
SPECIFICITA’
Il primo requisito che deve rispettare la contestazione d’addebito è quello della specificità, intesa quale sufficiente presenza delle indicazioni necessarie ed essenziali al fine di individuare nella sua materialità il fatto o i fatti nei quali il datore di lavoro ha ravvisato l’infrazione disciplinare. Tale previsione non prevede una descrizione capillarmente meticolosa del fatto, ma è sufficiente che siano presenti tutti gli elementi utili al diritto di difesa del lavoratore.
IMMEDIATEZZA
L’addebito deve essere tempestivamente contestato e in tal senso è necessario rilevarne l’accezione tipicamente relativa. In ogni caso è utile sottolineare che tale requisito deve essere inteso secondo buona fede e con ragionevole elasticità ed è perciò compatibile con l’intervallo di tempo necessario al preciso accertamento della condotta del lavoratore e alle più ponderate ed adeguate valutazioni del datore di lavoro (Cass. 11 febbraio 2016 n. 2743).
IMMUTABILITA’
I fatti sui cui si fonda la sanzione devono coincidere con quelli oggetto dell’avvenuta contestazione che non possono essere oggetto di variazione, allo scopo di tutelare il diritto di difesa del lavoratore. Inoltre tale coincidenza deve riguardare i fatti materiali e non la loro qualificazione giuridica (Cass. 29 agosto 2011 n. 17743).
DIRITTO DI DIFESA
Una volta ricevuta la contestazione d’addebito, il lavoratore ha tempo 5 giorni di calendario (o il maggior termine indicato sulla contestazione d’addebito) per fornire le proprie giustificazioni e/o versione dei fatti in forma scritta od orale. Nel corso del procedimento disciplinare il lavoratore ha, inoltre, la possibilità di farsi assistere da un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato o da un professionista per quanto concerne la modalità di definizione della difesa.
Qualora il lavoratore volesse presentare le proprie difese oralmente, lo stesso ha l’onere di informarne il datore di lavoro in termini inequivocabili ed univoci della propria scelta dell’audizione personale e il tal caso il datore di lavoro ha l’obbligo di sentire oralmente il lavoratore.
E’ utile specificare che il termine dei 5 giorni entro cui il lavoratore deve esercitare il proprio diritto di difesa decorre dalla ricezione della contestazione d’addebito, la quale nel caso di spedizione a mezzo di raccomandata, sarà da considerarsi ricevuta, con presunzione relativa di avvenuta conoscenza (art. 1335 cc), quando è giunta all’indirizzo del destinatario a prescindere da un eventuale rifiuto dello stesso.
TERMINE DI APPLICAZIONE DELLE SANZIONI DISCIPLINARI
Al termine dei 5 giorni, a prescindere dall’effettivo esercizio di difesa del lavoratore, il datore di lavoro, a sua discrezione, ha la possibilità di comminare la sanzione disciplinare che ritiene opportuna sulla scorta delle eventuali giustificazione addotte dal lavoratore e nel rispetto del principio proporzionalità, buona fede e correttezza.
Il CCNL applicato al rapporto di lavoro può, a riguardo, prevedere un termine entro cui il datore di lavoro possa adottare la sanzione disciplinare a decorrere dall’esposizione delle difese del lavoratore. Tali disposizioni rappresentano un deterrente contro l’inerzia del datore di lavoro, la quale se protratta per un determinato arco temporale previsto dal CCNL, potrebbe costituire accettazione delle difese del lavoratore e nel caso lo stesso non le abbia presentate, mancanza di interesse ad agire disciplinarmente nei suoi confronti.
Tali termini, tuttavia, costituiscono delle presunzioni relative ammissibili di prova contraria da parte del datore di lavoro, il quale avrà l’onere di dimostrare che il ritardo sia dovuto a ragioni diverse.
TIPOLOGIE DI SANZIONI DISCIPLINARI
Il potere disciplinare del datore di lavoro può manifestarsi, nel rispetto delle condizioni suindicate, attraverso la comminazione delle seguenti sanzioni disciplinari: ammonizione scritta, multa, sospensione, trasferimento e licenziamento.
L’ammonizione scritta rappresenta di norma il provvedimento disciplinare corrispondente alle infrazioni di minor gravità.
Per le mancanze più gravi o in caso di recidiva, i CCNL possono prevedere l’applicazione di una multa consistente in una trattenuta in busta paga dell’importo corrispondente ad un massimo di 4 ore di retribuzione. La multa in nessun caso costituisce un risarcimento danni.
La sospensione disciplinare dal servizio comporta necessariamente l’interruzione della corresponsione della retribuzione e di tutti gli istituti ad essa connessi, per l’intera sua durata che non può mai eccedere i 10 giorni.
Appare utile specificare che la sospensione non è da confondere con la ‘sospensione cautelare’ con mantenimento della retribuzione che il datore di lavoro può adottare contestualmente alla contestazione d’addebito, quando i tempi del procedimento disciplinare sono incompatibili con la presenza del lavoratore in azienda. L’efficacia di tale sospensione cautelare è destina ad esaurirsi a procedura ultimata.
Il trasferimento del dipendente in altra sede o ufficio a fronte di un illecito disciplinare deve essere rispettoso delle previsioni del CCNL e in mancanza non è applicabile.
Da ultimo, il licenziamento disciplinare (per giusta causa o giustificato motivo soggettivo) comminato a fronte di una grave condotta del lavoratore è la sanzione disciplinare più grave irrogabile dal datore di lavoro.
RECIDIVA
E’ importante precisare che commette recidiva il lavoratore che nell’arco di 2 anni reitera il comportamento che ha dato luogo ad un precedente provvedimento disciplinare.
La recidiva deve formare oggetto di preventiva contestazione al lavoratore a pena di nullità della sanzione se questa è elemento costitutivo della mancanza addebitata. Non è invece necessario, invece, che la contestazione contenga espressamente il termine ‘recidiva’ (Cass. 23 dicembre 2002 n. 18294).
Vale la pena di ricordare, inoltre, che non si può tener conto delle sanzioni disciplinari irrogate decorsi 2 anni dalla loro applicazione.
PROPORZIONALITA’
Il principio fondamentale in applicazione delle sanzioni disciplinari è quello della proporzionalità, inteso quale limite al libero esercizio del potere disciplinare del datore di lavoro. Il CCNL applicato o il regolamento aziendale hanno l’onere di specificare i contenuti di tale requisito attraverso la correlazione tra infrazioni disciplinari descritte e sanzioni previste secondo gli ordinari canoni di buona fede e correttezza.
Tuttavia, tali disposizioni sono subordinate al controllo del giudice di merito il quale è l’unico che possiede il potere indefettibile di ravvisare il rispetto del principio di proporzionalità.
il giudice, infatti, deve basare la sua valutazione su:
-Circostanza del caso concreto
-Precedenti disciplinari del lavoratore
-Gravità intrinseca del fatto
Qualora il giudice dovesse accertare la mancanza di proporzionalità di una sanzione disciplinare deve limitarsi a dichiarare la nullità della stessa senza potersi sostituire al datore di lavoro nell’applicazione di un’altra sanzione meno grave ritenuta proporzionale all’infrazione commessa (Cass. 20 ottobre 2015 n. 22150).
IMPUGNAZIONE SANZIONI DISCIPLINARI
E’ bene evidenziare che tutte le sanzioni disciplinari una volta irrogate in forma scritta al termine della procedura hanno efficacia immediata, tuttavia, il lavoratore che vuole opporsi può promuovere entro i 20 giorni successivi la costituzione di un collegio di conciliazione ed arbitrato per ottenere la revoca o la conversione del provvedimento e in tal caso viene sospesa l’efficacia della sanzione disciplinare già intimata fino alla pronuncia del lodo.
In alternativa il lavoratore può impugnare la sanzione disciplinare davanti all’autorità giudiziaria, senza limiti di decadenza (salvo il licenziamento) ma nel limite prescrizionale di 10 anni.
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