PERIODO DI PROVA E RECESSO. GUIDA COMPLETA
Il seguente articolo tenta di fare chiarezza in merito alla clausola contrattuale molto utilizzata del periodo di prova, di cui spesso si ignorano i fondamenti giuridici utili ai fini del rispetto delle condizioni di legittimità del recesso comminato all’interno di tale periodo.
E’ erroneamente diffusa la convinzione che durante il periodo di prova le parti e specialmente il datore di lavoro siano totalmente libere di esercitare, senza limiti, la facoltà di recesso e che tale scelta sia del tutto insindacabile. Per tale ragione è doveroso conoscere le condizioni del periodo di prova e del relativo recesso.
Seppur sia vero che il datore di lavoro abbia ampia discrezionalità nel recesso durante il periodo di prova, è altresì importante ricordare quali siano i corollari e i limiti posti alla base di tale istituto giuridico ai fini del rispetto del contemperamento dei diritti delle parti interessate.
DEFINIZIONE PERIODO DI PROVA
E’ utile preliminarmente definire il periodo di prova come quel periodo, all’interno di qualsiasi contratto di lavoro, volto a permettere alle parti di valutare la convenienza del rapporto di lavoro.
In mancanza di una disposizione legale, la giurisprudenza ritiene che il patto di prova deve essere siglato contestualmente alla stipulazione del contratto di lavoro e comunque prima dell’esecuzione dello stesso. Infatti il patto stipulato successivamente è nullo ed il rapporto di lavoro assume immediatamente carattere definitivo. (Cassazione 14 ottobre 1999 n. 11597)
In ordine alla comprensione dell’efficacia contrattuale del periodo di prova nel corso del suo svolgimento, è necessario evidenziare che tale periodo rappresenta solo un breve arco temporale in cui le parti posso risolvere il contratto in condizioni eccezionalmente diverse rispetto alle modalità ordinarie di cessazione del rapporto di lavoro.
Infatti, il patto di prova non costituisce un contratto di lavoro embrionale privo di efficacia, ma, al contrario, lo stesso è da considerarsi un breve periodo all’interno del contratto di lavoro sottoscritto e già perfezionato, in cui si maturano tutti i trattamenti economici e giuridici al pari di qualsiasi altro contratto. L’unica differenza, tuttavia, è rappresentata dalle condizioni di recesso più snelle, ma che non devono essere per tale motivo contrarie alle norme generali presenti nel nostro Ordinamento.
FORMA
Prima di illustrare i limiti al recesso indiscriminato durante il periodo di prova, specifico che deve essere scritto e sottoscritto da entrambe le parti. In caso contrario lo stesso è nullo e si considera non apposto. (Cassazione SU 9 marzo 1983 n. 1756)
Inoltre, si sottolinea che forma scritta è richiesta dalla legge e pertanto essa deve essere rispettata anche quando i contratti collettivi non la prevedono.
CONTENUTO
Una delle condizioni essenziali (che in caso di violazione determinato la nullità del recesso) è l’indicazione delle precise mansioni che il lavoratore dovrà svolgere. E’ ragionevole comprendere tale previsione posto che sia la possibilità del lavoratore di impegnarsi per dimostrare le proprie attitudini, sia la facoltà del datore di lavoro di esprimere la propria valutazione presuppongo che la prova debba effettuarsi in ordine a compiti esattamente identificati sin dall’inizio.
DURATA
La legge fissa la durata massima della prova in 6 mesi, la cui disciplina è rimessa ai contratti collettivi i quali determinato la durata effettiva nel limite della durata massima predetta. Di conseguenza i contratto collettivi possono prevedere durate anche inferiori in relazione alle diverse mansioni in base alla classificazione del personale del settore di riferimento.
Tuttavia, qualora la particolare complessità delle mansioni affidate al lavoratore renda necessaria una durata maggiore del periodo di prova rispetto a quello individuato dal contratto collettivo, le parti posso prevedere nel contratto individuale una durata maggiore, nel rispetto della durata massima legale di 6 mesi.
PROROGA
In alcuni casi la contrattazione collettiva esclude espressamente o prevede, nei limiti massimi previsti dalla legge, la possibilità di prorogare la durata inizialmente fissata nel contratto individuale del periodo di prova. In mancanza di tale previsione non è possibile prorogare il periodo di prova perché costituirebbe una clausola svantaggiosa per il lavoratore.
PRECEDENTI RAPPORTI E PERIODO DI PROVA
Laddove il lavoratore abbia già instaurato un rapporto di lavoro con il conseguente superamento del periodo di prova e sottoscriva successivamente un nuovo rapporto di lavoro con un altro datore di lavoro per le medesime mansioni, la reiterazione del periodo di prova è ammissibile solo quando risponde ad una finalità apprezzabile e non elusiva di norme cogenti. Ciò dal momento che la prova è destinata alla verifica non solo delle qualità professionali ma anche del comportamento e della personalità complessiva del lavoratore, in relazione all’adempimento della prestazione e che tali elementi sono suscettibili di modifiche nel corso del tempo. (Cassazione 9 marzo 2016 n. 4635)
Ciò significa che in caso di nuova assunzione alle medesime condizioni del rapporto di lavoro precedentemente instaurato con diverso datore di lavoro, il patto di prova può essere considerato valido, sia perché il dipendente è inserito in un’altra organizzazione lavorativa diversa rispetto alla precedente, sia perché la prova verte sulle condizioni generali, personali, non esclusivamente lavorative del soggetto che nel tempo possono variare.
Analoga situazione si verifica in caso di nuova assunzione presso lo stesso datore di lavoro con cui precedentemente il lavoratore abbia già avuto un rapporto di lavoro alle medesime condizioni, con relativo superamento della prova. In tale caso, infatti, l’organizzazione del datore di lavoro in cui è inserito il lavoratore è la medesima e, pertanto, la verifica nel periodo di prova concernerà esclusivamente anche le sue condizioni personali, con le relative difficoltà se la nuova assunzione sia in prossimità della precedente. In tale caso infatti è ragionevole supporre che il nuovo periodo di prova non sia da considerarsi pertanto applicabile.
DURATA MINIMA
Un’altra fattispecie interessante è la durata minima garantita del periodo di prova per consentirne l’effettività dell’esperimento. In tale caso, qualora nel contratto individuale sia indicata tale durata minima, il recesso può avvenire solo successivamente a tale periodo.
BUONA FEDE E CORRETTEZZA
Veniamo ora alle condizioni legittimanti il recesso durante il periodo di prova. Come sancito dal codice civile all’art. 2096, comma 3, ciascuna delle parti può recedere dal contratto, senza l’obbligo del preavviso o indennità; è il caso del cd recesso ad nutum, libero e senza motivazione.
Ad onor del vero, tale recesso ad nutum ‘col solo cenno del capo’, configura una tipologia di cessazione del rapporto di lavoro che nel caso del periodo di prova è caratterizzato da alcuni limiti derivanti dai principi generali di diritto.
Infatti, a causa della mancanza di riferimenti normativi in relazione a tale modalità di recesso, è la giurisprudenza a sopperire a tale carenza attraverso la previsione che durante il periodo di prova è in ogni caso necessario il rispetto dei principi di buona fede e correttezza al fine di evitare che loro violazione realizzi una ingiustificata supremazia del potere datoriale nei confronti del lavoratore.
Come si legge, infatti, nell’unica indicazione normativa dell’art. 2096, comma 2, l’imprenditore e il prestatore di lavoro sono rispettivamente tenuti a consentire e a fare l’esperimento che forma oggetto del periodo di prova e, pertanto, ne consegue che risulta vietato un indiscriminato eventuale recesso datoriale in violazione di tale disposizione.
SOSPENSIONE PERIODO DI PROVA
Di notevole importanza appare la sospensione del periodo di prova. Si è detto, infatti, che tale periodo deve essere concretamente svolto e, pertanto, in caso di mancato esperimento dello steso per determinate cause, lo stesso si sospende.
Infatti, il decorso di un periodo di prova determinato nella misura di un complessivo arco temporale, mentre non è sospeso da ipotesi di mancata prestazione lavorativa inerenti al normale svolgimento del rapporto, quali i riposi settimanali e le festività, deve ritenersi escluso in relazione ai giorni in cui la prestazione non si è verificata per eventi non prevedibili al momento della stipulazione del patto stesso, quali la malattia, l’infortunio, la gravidanza e il puerperio, i permessi, lo sciopero, la sospensione dell’attività del datore di lavoro e il godimento delle ferie annuali. Tale principio, tuttavia, trova applicazione solo in quanto non sia diversamente previsto dalla contrattazione collettiva, la quale può attribuire rilevanza sospensiva del periodo di prova a dati eventi che accadano durante il periodo medesimo. (Cassazione, 2 dicembre 2014 n. 25482)
E’ naturale comprendere le ragioni di tale sentenza, posto che agli eventi indicati, essendo imprevedibili e di rilievo sociale, sia accordata una tutela maggiore, ovverosia la sospensione del periodo di prova il quale, non potendosi esperire, resta sospeso.
FORMA DEL RECESSO
Il datore di lavoro gode di una certa libertà nella forma della comunicazione, potendo, secondo la Corte Costituzionale comunicare efficacemente il recesso anche in forma orale.
VIZI DEL RECESSO IN PERIODO DI PROVA
Risulta necessario prestare molta attenzione alle condizioni legittimanti il recesso durante il periodo di prova, poiché in caso di inosservanza il recesso è da considerarsi illegittimo con le conseguenza sanzionatore che vedremo tra poco.
E’ opportuno suddividere le tipologie di vizi in due tipologie, il vizio genetico e vizio funzionale.
Si definisce vizio genetico quando il patto di prova è carente di uno dei requisiti essenziali per la sua stessa validità:
-Quando non sia stato tempestivamente stipulato tra le parti. Il patto di prova deve infatti essere formalizzato in epoca precedente o almeno contestualmente all’assunzione
-Quando non rivesta la forma scritta
-Quando non contenga l’esatta e puntuale indicazione delle mansioni sulle quali il lavoratore verrà valutato, indicazione che può essere operata anche per relationem alle declaratorie del contratto collettivo
-Quando non preveda la durata della prova, che non potrà eccedere la misura indicata dalla contrattazione collettiva e comunque quella prevista per legge
Ricorrendo un vizio genetico, il patto di prova è radicalmente nullo, come se non fosse mai stato apposto al contratto di lavoro.
Il vizio funzionale, invece, sussiste quando il patto, pur perfettamente valido dal punto di vista formale e quindi efficace, non venga di fatto adempiuto, come nel caso in cui:
-Al lavoratore non venga consentito l’esperimento della prova, in quanto adibito a mansioni diverse da quelle indicate nel patto
-L’effettuazione dell’esperimento abbia avuto durata inadeguata
In riferimento a quest’ultimo fattispecie, è il caso ad esempio in cui il lavoratore venga licenziato per mancato superamento del periodo di prova dopo una settimana dall’inizio della stessa, a fronte di una prova di 3 mesi. Appare del tutto comprensibile che in una settimana il datore di lavoro sia impossibilitato ad esprimere un giudizio di inidoneità del lavoratore e che pertanto il recesso possa essere connotato da motivi illeciti.
PROFILI SANZIONATORI
Strettamente connesse alle tipologie di vizi del periodo di prova risultano essere le diverse conseguenze sanzionatorie.
In caso di vizio genetico, infatti, il patto di prova risulterebbe nullo e quindi come se non fosse mai stato apposto nel contratto. Di conseguenza in caso di recesso, la motivazione del mancato superamento della prova risulterebbe priva di reale giustificazione con la relativa applicazione della disciplina ordinaria dei licenziamenti individuali, con applicazione – a seconda delle dimensioni del datore di lavoro e della data di assunzione del dipendente (prima o dopo il 7 marzo 2015) – dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori o dell’art. 8 della Legge n. 604/66.
Ciò significa che si applicherebbero le seguenti sanzioni.
DIPENDENTE ASSUNTO PRESSO AZIENDA CON MENO DI 15 DIPENDENTI PRIMA DEL 7 MARZO 2015
Risarcimento del danno con somma tra 2,5 e 6 mensilità.
DIPENDENTE ASSUNTO PRESSO AZIENDA CON PIU’ DI 15 DIPENDENTI PRIMA DEL 7 MARZO 2015
In caso di insussistenza del fatto materiale posto alla base del licenziamento, reintegrazione e risarcimento massimo di 12 mensilità.
DIPENDENTE ASSUNTO PRESSO AZIENDA CON MENO DI 15 DIPENDENTI DOPO il 7 MARZO 2015
Risarcimento del danno con somma tra 3 e 6 mensilità.
DIPENDENTE ASSUNTO PRESSO AZIENDA CON PIU’ DI 15 DIPENDENTI DOPO IL 7 MARZO 2015
Risarcimento del danno con somma tra 6 e 36 mensilità.
In caso di vizio funzionale, invece, il lavoratore potrà richiedere al datore di lavoro solo il risarcimento del danno a fronte dell’inadempimento contrattuale causato dal mancato esperimento della prova correttamente indicata nel contratto individuale o, in alternativa, la prosecuzione effettiva della prova.
Si specifica che in tale caso, la richiesta di risarcimento del danno sia quantificata diversamente rispetto alle precedenti e che la stessa sia spesso commisurata al periodo medio di disoccupazione di un lavoratore operante nel medesimo settore economico e della stessa fascia di età oltre all’eventuale perdita di altre occasioni di lavoro concretamente rifiutate all’epoca dell’assunzione.
PER MAGGIORI INFO:
https://www.wikilabour.it/dizionario/assunzione-e-formazione/periodo-di-prova/
PER RICHIESTE DI CONTATTO:
https://sandrosantucci.com/#contatti%EF%BB%BF